Abbazia benedettina risalente al secolo XII (ricordiamo che l'abbazia è nominata in un documento del 1131 e perciò doveva già esistere prima di questa data), venne dedicata al culto di Santa Maria del Mutino, essendo il Mutino il fiume che scorre a valle.Ma le modificazioni apportate nei secoli, sia dalle distruzioni che dalle ricostruzioni, hanno spesso completamente distrutto le architetture romaniche della provincia feretrana. Per ciò che riguarda l'abbazia di Santa Maria del Mutino, che diede poi il nome all'abitato di Monastero, quello che resta della costruzione originale è la parete inferiore, sulla quale in seguito vennero operate modifiche strutturali. E' arrivata intatta ai nostri giorni una grande sala inferiore, forse ricovero delle derrate, ed una serie di finestre e porte sicuramente romaniche: le finestre oblunghe a tutto sesto che si aprono nel lato sud-est della chiesa ed il portale, anch'esso a tutto sesto, che permetteva ad est forse l'accesso ai carri agricoli furono realizzati con pietre perfettamente sagomate; le porte, di diverse dimensioni, che si ritrovano in questa porzione di costruzione originaria dovevano garantire l'accesso ai piano superiori. Ma soprattutto di quel periodo ci restano la base dell'abside quadrangolare (non unico esempio nella zona), un angolo del campanile e porzioni di muratura del portico d'ingresso al cenobio. Quello che doveva presentarsi ad un viaggiatore del XII° secolo era un grande complesso monastico fortificato (la torre campanaria era in realtà un fortalicium) dotato di una chiesa a due navate e non a navata unica: un grande arco presente nella parete destra ci fa pensare ad un collegamento dell'ambiente attuale con un ulteriore spazio, forse una seconda navata. Agli occhi, invece, di un visitatore del XVII° secolo la chiesa doveva apparire certamente abbellita ed ornata: sono del XVI° secolo le due ante del tabernacolo dell'altare maggiore dipinte da un pittore ignoto di scuola marchigiana; è del 1614 una tela raffigurante la Madonna col Bambino, Santa Francesca Vidri ed un angelo dipinta da un ignoto pittore locale di scuola baroccesca. Il committente dell'opera, citato in un'iscrizione, risulta essere stato don Secondo Lancellotti, monaco olivetano perugino. Ancora una volta dei documenti, in questo caso artistici, ci testimoniano l'alacrità con la quale i monaci non solo lavoravano per la popolazione locale, ma promuovevano in queste zone anche lo sviluppo e la cultura.
INFORMAZIONI Numero piani: 3
Stato uso: parziale
Stato conservazione: criticità strutturali
Proprietà: enti
Tipologia edilizia: abbazia